Commercio internazionale e futuro sostenibile

Commercio internazionale e sostenibilità sono due termini che negli ultimi anni sono accostati sempre più spesso. Di fronte alle crescenti crisi climatiche, alla perdita della biodiversità e all’inquinamento, l’urgente necessità di un’economia globale verde è guadagna sempre più spazio nell’agenda politica internazionale. Allo stesso tempo, il mondo deve affrontare un profondo problema di equità: le acute disuguaglianze sociali ed economiche tra e all’interno dei paesi stanno peggiorando insieme a livelli molto diversi di vulnerabilità ai rischi ambientali e al degrado. La pandemia di COVID-19 ci ha mostrato il grado in cui questi problemi sono interdipendenti e ha stimolato gli appelli a “ricostruire meglio”. 

Mentre i governi, la società civile e le imprese sono alle prese con le profonde e rapide trasformazioni economiche richieste dalla sostenibilità ambientale, l’importanza del commercio internazionale e delle politiche commerciali per la ripresa economica verde diventa più chiara. L’ambiente politico in questo momento offre maggiori opportunità di impegno positivo sulle intersezioni tra ambiente e commercio rispetto al passato. Per cogliere al meglio le opportunità di questo momento, è necessario rispondere a molte domande: 

  • come possiamo garantire che il commercio e le regole commerciali non provochino o esacerbano danni ambientali?
  • in che modo è possibile sfruttare le regole, le politiche e le istituzioni del commercio internazionale per sostenere il progresso verso obiettivi ambientali condivisi e una maggiore ambizione ambientale?
  • quali accordi internazionali esistenti  sono gli elementi costitutivi più promettenti per ulteriori miglioramenti?
  • oltre al miglioramento delle regole commerciali, quali altri percorsi e opportunità potrebbero essere utilizzati per promuovere la cooperazione e l’azione sul commercio verde?
  • in che modo la politica commerciale può incentivare, richiedere e supportare meglio le aziende a dare la priorità ai prodotti, alla produzione e alle catene di approvvigionamento verdi?
  • In che modo le agende del commercio verde possono affrontare le sfide e le opportunità per i paesi in via di sviluppo e rispondere alle loro più ampie priorità di sviluppo sostenibile?

La diplomazia internazionale per lo sviluppo sostenibile

Il 2021 è stato un anno significativo per la diplomazia internazionale riguardo a commercio internazionale e sostenibilità, in particolare a causa dei negoziati per un quadro globale per la biodiversità post-2020 nell’ottobre 2021 e della 26a conferenza delle parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26) nel dicembre 2021. L’ONU Il Food Systems Summit tenutosi a settembre 2021 è un altro evento chiave per promuovere la sostenibilità del cibo e dell’agricoltura. Allo stesso tempo, i paesi stanno lavorando per far avanzare i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite, che forniscono un quadro politico generale per far avanzare in tandem le priorità ambientali, economiche e sociali. La cooperazione commerciale è identificata come uno dei principali “mezzi di attuazione” per raggiungerli.

Il riconoscimento della necessità di integrare le politiche economiche e ambientali globali è in crescita e il 2021 ha offerto nuove aperture per far avanzare gli obiettivi ambientali nell’arena della politica commerciale internazionale. Tra le maggiori potenze, l’Unione Europea (UE) rinnova gli sforzi per allineare la sua politica commerciale alle sue ambizioni ambientali, l’amministrazione Biden si è impegnata a impegnarsi nuovamente presso l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e ha già riacceso la sua diplomazia multilaterale sull’ambiente e la Cina ha assunto numerosi impegni ad alto livello in materia di azione ambientale. 

Molti paesi in via di sviluppo sono anche più aperti alla cooperazione sulle dimensioni ambientali del commercio internazionale rispetto al passato, in particolare quelli con esportazioni verdi da promuovere e quelli che già affrontano i costi economici del degrado ambientale che temono i rischi di ulteriori shock ambientali sulla loro produzione, infrastrutture e commercio. Le potenzialità degli accordi bilaterali e multilaterali – e, in generale, dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) – di supportare il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono notevoli, ad esempio, attraverso la rimozione dei dazi su beni e servizi ecologici o l’armonizzazione degli standard ambientali negli scambi tra Paesi.

Eppure, storicamente ci si è mossi nella direzione opposta: la riduzione dei dazi e l’aumento dei sussidi sono stati superiori nei settori più inquinanti e a più alto impatto ambientale, come i combustibili fossili e l’allevamento animale, mentre i Free Trade Agreement (FTA) generalmente trascurano il tema delle emissioni di gas serra. Alcune menzioni, seppure ancora insoddisfacenti, si ritrovano nellaccordo Ue-Singapore, che riconosce la necessità di tenere in dovuta considerazione le emissioni inquinanti nella progettazione dei sistemi di sussidio, e nel CETA, che consente alle parti di promuovere obiettivi e standard ambientali nelle specificazioni delle gare d’appalto.

L’impatto negativo del cambiamento climatico sui PVS

A inizio 2019, 184 dei 197 Paesi firmatari, che rappresentano il 97% delle emissioni globali, avevano ratificato lAccordo di Parigi. I risultati raggiunti, tuttavia, sono a oggi insufficienti, anche a causa degli obiettivi poco ambiziosi imposti a livello nazionale o regionale e del ritiro di alcune economie chiave, come Stati Uniti, Australia e Brasile.

Le conseguenze economiche, oltre che ambientali e sociali, del cambiamento climatico si riverserebbero in particolare sui Paesi in via di sviluppo (PVS) in Africa, America Latina e Asia, più vulnerabili ad alterazioni della catena di fornitura, trasporto e distribuzione, soprattutto nel settore primario. La dipendenza di alcuni di questi Paesi dall’export di materie prime agricole e danni relativamente maggiori dovuti al cambiamento climatico potrebbero portare a una modifica dei vantaggi comparati di queste economie, modificandone la struttura degli scambi con l’estero e indebolendone la bilancia commerciale.

L’interazione tra politiche commerciali e politiche climatiche è dunque indispensabile per raggiungere gli obiettivi di preservazione ambientale. Da un lato, le regole e gli accordi che disciplinano il commercio tra Paesi possono favorire la diffusione di beni e tecnologie sostenibili; dall’altro, azioni più incisive in favore dell’ambiente richiedono una revisione delle normative domestiche che a loro volta possono avere effetti significativi sugli scambi. È quindi necessario che le misure e le leggi emanate a livello nazionale per combattere l’inquinamento siano armonizzate con le regole e i requisiti dei FTA e dell’OMC. Ad esempio, il principio di non discriminazione impone che i prodotti importati siano trattati nello stesso modo dei prodotti locali, rendendo complessa la distinzione tra beni in base a fattori quali la carbon footprint; inoltre, alcuni provvedimenti come i border carbon adjustment, potrebbero essere usati “impropriamente” e di fatto agire come misure protezionistiche.

Sostenibilità e commercio internazionale: il caso Italia

Quanto al commercio internazionale sostenibile in Italia, L’ultimo rapporto SACE “Ritorno al futuro: anatomia di una ripresa  post-pandemica” sostiene che la sostenibilità ambientale non è più solo una questione di etica, ma sempre più una leva per la competitività delle imprese.  Le imprese green si dimostrano più costanti rispetto a quelle non green in termini di presenza sui mercati internazionali. “Tra le imprese esportatrici, quelle regolari, os­sia non occasionali (cioè che hanno sempre esportato dal 2017 al 2021 compreso) sono più frequenti nel caso delle imprese eco-inve­stitrici. A ciò si aggiunge anche la più elevata capacità delle imprese green di esportare in più mercati, con una media di 22 Paesi di destinazione contro i 17 per le imprese esportatrici non green”.

Le ragioni del maggiore orientamento green delle impre­se che esportano sono molteplici. Tra questi una domanda internazionale formata da consumatori e imprese sempre più attenti alla sostenibilità dei prodotti “dalle materie prime utilizzate al loro tasso di riciclo, passando per la sostenibilità dei processi per mezzo dei quali sono stati realizzati”. È anche per questo che le imprese che investono nella sostenibilità ambientale hanno non solo una maggiore apertura internazionale, ma anche una mag­giore propensione all’export rispetto alle imprese non green. 

Il report rileva che la componente green spinge tanto l’internazionalizzazione, cioè la capacità di esportare, quanto il rafforzamento della presenza sui mer­cati esteri misurata come regolarità della presenza e propensione all’export. Non a caso sono proprio le imprese esportatrici quelle più propense a puntare sul green per accre­scere la propria competitività, consapevoli anche dei rischi che il cambiamento climatico rappresenta per la propria azienda e la società più in generale.

Il ruolo del commercio internazionale per uno sviluppo sostenibile

Nella sua Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, l’ONU dichiara che l’economia detiene un ruolo centrale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. A suo parere, il commercio mondiale è il motore di una crescita economica per tutti e un mezzo per ridurre la povertà e contribuire allo sviluppo sostenibile. 

Secondo la dottrina classica del commercio internazionale basata sul vantaggio comparato di David Ricardo, il commercio di beni, materiali e immateriali, aumenta la ricchezza di tutti i paesi che partecipano agli scambi, poiché ogni paese si specializza nella produzione di beni dove possiede un vantaggio comparativo. Questa specializzazione per paese porta ad una divisione internazionale del lavoro: un paese importa i beni che costerebbero troppo se prodotti presso di esso ed esporta i beni che produce ad un costo inferiore all’estero. Le importazioni ampliano la scelta di beni nei paesi e diminuiscono i prezzi per i consumatori. Da parte loro, le esportazioni hanno un impatto positivo sull’occupazione, di modo che il reddito della popolazione aumenta. Nel complesso, le importazioni e le esportazioni di beni aumentano il benessere dei partecipanti agli scambi. Inoltre, il commercio mondiale di merci e servizi permette di integrare le imprese locali nelle catene di valore aggiunto mondiali. 

La specializzazione dei paesi legittima il binomio commercio internazionale e sostenibilità. Infatti, alcuni settori dell’economia siano sempre più esposti a una maggiore concorrenza, compresa quella estera. Di conseguenza, i singoli fornitori nazionali possono essere estromessi dal mercato. Ma le conseguenze a lungo termine dell’aumento della concorrenza sono complessivamente positive. Le imprese devono attenersi ad un costante processo di rinnovamento. Il miglioramento dei processi produttivi che ne deriva, non solo permette di sostituire le strutture esistenti, ma stimola il progresso economico e tecnico sul mercato. Il successo sorride alle imprese particolarmente innovative. Grazie a progressi tecnologici e metodologici, esse sono in grado di affermarsi sul mercato e di aumentare la loro produttività. Questo genera nuovi rendimenti che possono essere reinvestiti e che finiscono col creare nuovi impieghi. 

Relazioni commerciali aperte, prevedibili ed eque tra i Paesi possono accelerare la diffusione mondiale di tecnologie rispettose dell’ambiente e facilitare la creazione e l’espansione dei mercati per i prodotti sostenibili. Il commercio, a fronte dell’impatto dei cambiamenti climatici e della scarsità di risorse, ha un ruolo importante nel rafforzamento della resilienza ambientale, può aiutare la circolazione di merci ecologiche, promuovere la conservazione ambientale, l’efficienza economica e migliorare l’accesso alle tecnologie pulite e a basso costo.

Commercio intenazionale e sostenibilità, inoltre, si possono rafforzare l’un l’altro, tramite un’azione combinata e coordinata della comunità internazionale, i singoli governi e la società civile: un commercio sostenibile, aperto e sicuro, infatti, giova all’ambiente e un ambiente sano, resiliente e sostenibile giova al commercio, perché offre trasporti sicuri e materie prime di qualità.

Il rapporto conflittuale tra sviluppo economico e ambiente

Parlando del commercio internazionale sostenibile non si può sottovalutare il rapporto tra crescita economica e danno ambientale. Tuttavia, l’aumento di ricchezza tende a far crescere anche la domanda di qualità ambientale.  Entrambe queste idee sono rappresentate nella curva ambientale di Kuznets : Una relazione a “U rovesciata” tra il reddito pro capite e il danno ambientale.

Curva di Kuznet
By This diagram was created with Microsoft Word. – The diagram is made using Microsoft Word., CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=85241915

L’evidenza empirica suggerisce che quando le economie crescono, inizialmente provocano crescenti danni ambientali, ma, via via, diventano sempre più attente all’ambiente quando diventano sufficientemente ricche. La Cina, paese in cui l’ambiente si sta deteriorando al crescere dell’economia, si sta spostando lungo la curva fino al punto apicale. I paesi più ricchi potrebbero essere in movimento lungo la curva verso destra, perché starebbero usando parte della crescita per migliorare l’ambiente.

Purtroppo, lo spostamento verso standard ambientali più alti causa un gap tra paesi ricchi ed economie meno sviluppate. Poiché il paesi più ricchi adottano delle severe normative ambientali che generalmente i paesi più poveri ignorano, le attività più dannose per l’ambiente vengono spostate in questi ultimi.  Un “paradiso dell’inquinamento”: è un luogo dove un’attività economica soggetta a severi controlli ambientali in alcuni paesi viene spostata (o venduta) in altri paesi caratterizzati da una regolamentazione meno rigorosa. 

Ma come misurare l’impatto del commercio internazionale sull’ambiente?

Il commercio internazionale di beni e di servizi non ha di per se un impatto ambientale negativo, ma offre in effetti il potenziale per utilizzare le risorse in modo efficiente e, quindi, sostenibile. Affinché il commercio possa considerarsi sostenibile dal punto di vista ambientale, i Paesi di produzione dovrebbero avere leggi comparabili in materia e rispettarle.

L’impatto ambientale dei consumi può essere illustrato attraverso le c.d. impronte ecologiche. Queste ultime possono essere calcolate per l’impatto complessivo o per determinate problematiche ambientali – come ad esempio l’emissione di gas serra, la perdita di biodiversità in seguito all’utilizzo del suolo o le emissioni di azoto che portano alla concimazione eccessiva di spazi vitali come i mari, i boschi, i biotopi ecc.

Come base per la valutazione dell’impatto ambientale delle aperture di mercato, in una prima fase devono essere rilevate le ripercussioni sulla produzione e sulle importazioni, tenendo al contempo conto non solo della variazione delle quantità (produzione, importazioni) ma anche dei Paesi in cui si produce e dei metodi utilizzati in tal ambito. Poi si procede alla valutazione delle possibili variazioni dell’impatto ambientale. Al riguardo si possono considerare i tre effetti seguenti (con importanza decrescente):

  • l’effetto del prezzo che deriva da una variazione delle quantità consumate a livello nazionale, ad esempio un aumento del consumo nazionale di carne e dell’impatto ambientale ad esso connesso in seguito a prezzi più bassi;
  • l’effetto della provenienza che riflette le differenti intensità ambientali della produzione nei vari Paesi (impatto ambientale della produzione locale e carenza dei beni ambientali);
  • l’effetto del trasporto che riflette le variazioni dell’impatto ambientale dovute alle mutate modalità di trasporto nei vari scenari, ad esempio il trasporto aereo della verdura proveniente dall’estero.

Per scongiurare un incremento sostanziale dell’impatto ambientale nel caso di apertura del mercato nel settore agricolo, si deve evitare in particolare che la superficie di produzione nei Paesi partner venga estesa senza che si adottino misure adeguate volte a promuovere una produzione ecologica di compensazione.

 

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